INGREDIENTI PER 6 PERSONE
Per la preparazione:
2 peperoni gialli, 1 peperone rosso, 1 peperone verde, 2 patate, 2 pomodori, melanzane (facoltativo), una cipolla grossa bianca, olio extravergine d’oliva, sale e pepe.
Per l’agrodolce:
mezzo bicchiere d’aceto di vino bianco, 4 cucchiai di zucchero semolato.
PREPARAZIONE
Lavare i peperoni, asciugarli e dividerli a metà.
Privarli del picciolo, dei semi e dei filamenti bianchi interni.
Tagliarlo nel senso della lunghezza prima in strisce e, poi, in pezzi.
Friggerli in olio abbondante e, a cottura ultimata, togliere la pellicola che li ricopre.
Metterli da parte.
Sbucciare le patate, lavarle, asciugarle e tagliarle in pezzi.
Friggerle in un’altra padella e metterle a perdere l’unto su carta assorbente.
Aggiungere un po’ d’olio nella stessa padella e soffriggere la cipolla affettata finemente.
Unire i pomodori, dopo averli lavati e tagliati a pezzetti.
Lasciarli cuocere per 5 minuti, schiacciandoli con un cucchiai di legno.
Quando i pomodori saranno ben schiacciati, levare loro la pelle e rimetterli in padella, aggiungendo qualche cucchiaio d’olio.
Unire le melanzane, le patate ed i peperoni.
Fare insaporire il tutto, a fuoco basso e a padella coperta, per circa 15 minuti, mescolando di tanto in tanto.
Aggiungere, al bisogno, un mestolino d’acqua calda.
Nel frattempo, mescolare l’aceto con lo zucchero.
Poco prima di spegnere la fiamma, versare l’aceto zuccherato sulla peperonata.
Mescolare e lasciare insaporire per 5 minuti.
Servire la peperonata fredda.
NOTE
- La versione palermitana della Peperonata in agrodolce aumenta il contrasto tra dolce e salato, aggiungendo agli ingredienti da noi suggeriti una manciata di passolina (uva passa) ed una di pinoli.
QUALCHE NOTIZIA STORICA SULL’AGRODOLCE
Il termine “Agrodolce” indica l’unione di due sapori tra loro contrastanti: l’agro (nel nostro caso l’aceto) e il dolce (nella nostra ricetta lo zucchero).
Di tale unione troviamo già notizia in Marco Gavio Apicio (25 .C. – 37 d.C.), gastronomo romano, autore del “De re coquinaria” (L’arte culinaria), un ricettario in dieci libri che raccoglieva le più note ricette della cucina romana.
In numerose ricette appartenenti alla raccolta si fa riferimento all’usanza romana di addolcire le pietanze con l’aggiunta di miele, datteri e uva passa.
I Romani usavano tali ingredienti per addolcire non solo preparazioni dolci, ma anche carni e verdure, che in tal modo prendevano un gusto agrodolce.
Per esempio, Apicio descrive la preparazione di un maialino lesso, che veniva insaporito con miele e vino, oltre che con il famoso “garum”, un condimento a base di interiora di pesce e pesce salato, considerato dai Romani una leccornia.
Durante il Medioevo la gamma degli ingredienti da adoperare per comporre l’agrodolce si ampliò, annoverando come componente acida, oltre l’aceto e il vino, anche succo di limone o di altri agrumi, agresto ( una conserva acidula a base di mosto d’uva) o il succo di alcuni frutti caratterizzati da un sapore agrodolce, come per esempio, la melagrana, la mela, la pera, etc.
Pur se già conosciuto in epoca romana, l’agrodolce venne diffuso in tutta la Sicilia dagli Arabi, che la governarono dall’827 al 1091
L’unione in una stessa preparazione di ingredienti dolci ed aspri era, infatti, molto apprezzata dagli Arabi, i quali importarono in Sicilia la canna da zucchero, elemento indispensabile per la preparazione della salsa agrodolce.
La partenza e la deportazione degli Arabi dalla Sicilia portò alla scomparsa della coltivazione della canna da zucchero in tutta l’isola.
In epoca successiva, fu l’imperatore Federico II di Svevia, a far ricercare le tecniche ormai dimenticate della coltivazione della canna da zucchero e ad incrementarne la produzione.
Nel Medioevo il gusto agrodolce era presente in molte delle salse adoperate per condire le varie pietanze.
Nei secoli successivi, tale gusto continuò ad essere apprezzato, fino a quando, nel XVII secolo, esso venne messo in secondo piano dalla grande cucina francese del Seicento, le cui regole non prevedevano l’unione di cibi dal gusti contrastanti, preferendo una netta distinzione tra il dolce e l’aromatico.
Nonostante l’ostracismo della cucina seicentesca nei confronti della mescolanza tra dolce e salato, tale connubio continuò a caratterizzare nei secoli successivi la cucina italiana (soprattutto meridionale) e non solo.
Basti pensare, ad esempio, al grande uso di salse agrodolci in tutta la cucina orientale.
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